Il Cacciavite Edizioni

Alle nostre Stelle
Marta,  Cecilia, Federico

I miei versi,
femminili pensieri intorno al vivere.

(Le donne, quante moine
fan sempre dei versi
fin da bambine.)

Pensato nelle stagioni 2009
stampato dalla Tipografia Chiesa
in Primavera 2010

 


 

Esistono i colori
molti tipi di mare
gli alberi dei boschi
le persone attente
gli sguardi profondi.
Eventi anche belli
intorno a me
quindi la speranza
è.
Il mio cuore batte
la mia anima aleggia
il mio cervello pensa
e tutto questo
insieme al mio corpo
ama.
Tutto, tutto
ce la metto tutta
come quando dipingo.


 

Le lampadine a basso consumo
gli assi da stiro del musicista

il sole non rosso ma blu
i pensieri intorno al vivere

il cielo dalle molte sfumature
la vita intorno ai pensieri

la signora che chiede
il cliente che ringrazia

quelli che si preparano
gli altri già pronti

l’anziano  che tossisce
la ragazza che saluta

noi che leggiamo
loro che guardano la tv

zia Maria che cade ieri
e la troviamo solo domani

i venticinque anni di Marta
gli ottantasette del maestro Lodi

alcuni appunti a ricordare
il diciassette febbraio duemilanove.


 

Ad eliminazione
hanno decretato
le lampadine ad incandescenza.
Quelle cosucce delicate
rotondine, affusolate
trasparenti o sfumate
fragili ed appassionate
che gran luce han fatto
sopra pagine bianche.
Accese per noi
dentro le sere d’inverno
ma anche d’autunno
e nelle notti di primavera,
con la loro pancetta
in cui intravedi 
viscere luminescenti 
come scintillanti meduse
negli abissi marini,
le odierne lampadine
saranno sostituite
da un nuovo involucro
la cui anima non si vedrà più.

Mutazioni di luce
evoluzioni
come nella fotografia
o nella pittura 
altre esistenze
differente scrittura.


 

La zia respira a fatica.
Solo l’altra settimana
ha cucito venti camice
parlato mille parole
salutato cento amici.
Calato è il sipario.
Il pubblico attonito
dispera sia riaperto.
Ora ognuno
guarda alla vita
in modo diverso,
chi zoppicava
ora cammina diritto,
chi balbettava
ora parla spedito,
chi si lamentava
ora ci ride sopra.
Man mano
tutti se ne vanno
ed il teatro si svuota.
Rimane assorta una donna
i capelli raccolti
ed un libro fra le mani.
Sta là, muta
ritiene inutile ogni moto.
Prendendo dalla borsa
un piccolo quaderno verde
lo apre
toglie il tappo ad una stilografica
per scrivere una parola:
fine.
Subito si pente
e scrive 
inizio,
poi di nuovo 
fine
ed ancora
inizio.
E questo è tutto.


 

Girovaghiamo per Marsiglia
proprio turisti non siamo
qualcosa di più, dei dejà-vu.
Alla Vielle Charité
non incontriamo Izzo
perché se n’è andato nel duemila,
lui comunque
non ci avrebbe invitato a les Goudes.
Nel Panier
non beviamo la famosa cioccolata.
Dentro la Major non preghiamo
perché vada come vada
troppe persone dovremmo raccomandare.
A Vieux Port è così bello
lì dove comincia la Canebière
e poi a piedi lungo la Rue de Rome
e sulla Corniche e dappertutto.
E’ dal ricordo spalancato
di quand’ero bambina
che affiorano le sensazioni
portate e riportate dal Mistrale
che gonfia di vento le vele
fra le onde di questo mare
che ha accolto e che accoglie
un mare come di tutti.
Anche nostro.


 

E’ talmente maleducato il Destino
si sa
prima i vecchi  poi i bambini
ma cosa vuoi mai
con i tempi che corrono
insegnargli vorrei io
un po’ di buona educazione
che mascalzone
come ha potuto anche oggi
un ragazzo di diciassette anni!
E guarda che aria da protagonista
qui al funerale
ogni volta è la solita storia
tutti quegli anziani
disgraziati sopravvissuti
ai loro figli ai loro nipoti,
illusi che la morte
non avrebbe osato falciare
questi bei campi di lino
e lavanda e fiordaliso.
Invece.


 

Sto
in questo pomeriggio
ricolmo di meraviglia
come un tulipano giallo
in un vaso allungato.
Mentre fuori piove
eccomi immobile
senza produrre
assolutamente nulla
né annessi  né connessi
solo io ed io
con i miei petali
il mio ovario
il mio pistillo
aspettando la sera
quando giungerai
e poi la notte
quando ti amerò
e dentro il mio fiore
ti accoglierò.


 

C’era la scala
pesante
e l’ho spostata.
C’era il cliente
pesante
e l’ho servito.
C’era la stufa
pesante
e l’ho venduta.
C’era il rotolo
pesante
e l’ho sistemato.
C’era l’aria
pesante
e l’ho respirata.
C’era un elefante
pesante
ci son salita sopra.

Ora lui mi conduce
e con la sua proboscide
sposta le cose pesanti
anche gli uomini
ed anche le donne
ed anche due per volta.
Da lassù
l’umana pesantezza
osservo
ed é bellissimo
e la vita è leggera.


 

Nel frattempo cogliete l’occasione
per dimostrare a voi stessi
che non tutto è perduto
infatti gli orecchini li avete trovati
sotto il libretto d’assegni terminato
in che stato, dicevano
che in primavera
non sarebbe piovuto
ed invece guardate
tutte le strade allagate
ed il cuore della gente
così indifferente
ma come dicevo
non tutto è perduto
l’ago nel pagliaio
infine si può trovare,
sulle vecchie travi
una mano d’impregnante
si può sempre dare,
l’auto prenotarla come si vuole
e gli abiti firmati e le scarpe
i gioielli le borse
e di nuovo rileggere
quel brano della Bibbia
la cruna, si la cruna,
la cruna di che?
Se sarà necessario 
risorger faremo
le vacche grasse e magre
e Giuseppe e il faraone
la moglie del faraone
e la faraona arrosto
troverai la ricetta sull’Artusi
alla voce pollame.


 

Traffico molto scorrevole
sulla rete stradale nazionale
ma di quella internazionale
non vogliamo parlare
né della via della seta
né della via delle spezie
né della via della droga.
Vogliamo invece
spendere due parole
sulla via delle Stelle
perché pensiamo
che molti amici
quella abbiano preso.
Ai bei momenti trascorsi
pensiamo
ma è così difficile
ricordare certi visi
le parole le carezze
gli abbracci i sorrisi.
Noemi, ti ricordi a Chioggia
o era a Venezia
o a Milano?


 

Pare impossibile
questa domenica splendida
alla fine d’una settimana
incerta e pensosa
la morte che cammina
dentro un cronicario
il corpo perso
che non si spiega
tanta sofferenza.
Nascosti nella domenica
sognatori ed amanti fra gli alberi
ci pare di non aver diritto
a così fresca felicità.


 

Ce
Cellula Celeste
di profumato Cedro
Ci
Cicogna e Cinciarella
che si rubano una Ciliegia
Li
Liuto e Lira
che accompagnano la tua voce
A
Anima bella
che portiamo nel cuore.


 

Azuma Kengiro
ho veduto aggirarsi 
nel vuoto della città.
Cercava uno spazio
da riempire di senso
poiché il vuoto
è il pieno della natura
ed ogni materiale può 
ed ogni oggetto è.

Paesaggio                                                 armonia
luogo                 rispetto 
natura                pace
terra  
cielo
amicizia

tempo
sogno                  libertà 
mistero                       sentimenti
emozioni 
sensazioni 
bambini.
Suoni di parole
incisi nelle sue sculture,
invisibili note
udite soltanto
da chi l’anima delle cose
scrutare nel profondo sa.


 

Siamo
uomini e donne
umanità
ed ognuno è
come è.
Siamo alberi e fiori
soggetti agli eventi
in diverse stagioni.
Esseri stagionali
siamo.


 

C’è il bosco di notte
ma anche le stelle
che s’intravedono.
Non capisco a fondo
il senso del mio esistere,
come molti vivo,
intrattengo relazioni
senza approfondire,
grazie stia bene arrivederci,
mi do un certo tono
parlo e parlo
ma si capisce almeno
quello che dico?


 

Il nostro cane Neve
ha proprio quindici anni.
E’ un’anziana meticcia
alta trenta centimetri
dal pelo bianco e nero
ed il suo nome completo
è Fiocco di Neve.
Ora non sale più
sulle mie gambe
quando leggo.
Se ne sta malata
dentro la sua cuccetta
e dorme quasi sempre.
“Neve, Neve”- la chiamo,
lei scodinzola piano,
l’accarezzo e lei sa
quello che altri non sanno,
lei mi conosce bene
e ci guardiamo negli occhi. 
Quando morirà
anche un pezzo di me
con lei se ne andrà
ed è giusto così
perché è una giostra che gira
galoppa il cavallo
s’alza l’aeroplano
romba l’automobile
strappa il codino
e gira e gira
qualcuno ogni tanto scende
e dove se ne va
proprio non si sa.


 

Marta, pesce azzurro
serena scintilla di luce
nel mare brillante
dell'Isola Blu.

Marta, libero cavalluccio,
conchiglia di madreperla
iridata di forti pensieri,
coraggiosa fra le onde.

Marta, viso meraviglia
di quando neonata apristi
gli occhi tuoi di stella
sulla mia opaca vita.


 

Se avessi quattro mani
avrei quaranta dita
per accarezzare
ma allora serei un millemani
ed a chi mai piacerebbe
tutto questo solletico?
Ho queste due mani
con i palmi di carta vetrata
ed é tutto vero
la pialla i chiodi la colla
io che scrivo io che leggo
io che pitturo io che amo
sono come un falegname
di parole e colori
badate bene
non ho detto poeta
e neppure pittore
non se la prenda professore
vedo bene che ha notato
l'abissale differenza
ma di scrivere e dipingere
non posso proprio far senza.


 

Non avevo mai fatto
il bagno nelle mie lacrime
però, che bello,
tiepide e salate
che così abbondanti
non eran mai sgorgate.

 


 

Quando si è bambini
si gioca, si corre intorno
la vita è lì che vive con te
con i tuoi gridolini
i sorrisi, i piagnucolii
quando si è bambini fortunati
qualcosa di bello e luminoso
esce dai tuoi occhi per entrare
in quelli che ti guardano.
D’un tratto si è adulti
dentro un corpo ci si dibatte
si cerca d’essere sè stessi
di diventare ciò che siamo,
ma di colpo ci si arresta
incuneandosi, abbassandosi, 
schivando, boccheggiando, 
ingrassando, dimagrendo,
ci si adatta all’ambiente
che già si sapeva,
Darwin è stato un grande,
ma tutta questa creazione senza un Dio
tutta questa umanità che invecchia
ancora donne ancora uomini,
eppure.

 


 

I bambini
giocano a bolle di sapone
con il ventilatore.
Escono a decine le bolle
e vorticando nell’aria
giocherellano fra loro.

I bambini
ridono di felicità
non pensano a nulla
guardano i loro sogni
dentro i piccoli mondi
leggeri e trasparenti.

 


 

Chi l’avrebbe mai detto
che noi sopra questo pianeta
avremmo generato
con i nostri luminosi baci
tre siffatte Stelle?

 


 

E’ fine marzo
e Flavio non c’è più.
Le ore corrono
il mondo rotola
la gente cammina.
Lui giace là
a Miragolo San Salvatore
delicato luogo
fra l’incanto dei prati.
Noi pensiamo sia contento
il suo corpo esanime
di respirare la vita
semplice di montagna.
Lui pensa che siamo contenti
di pensarlo lassù.
Ed è proprio così.
Ma se le sue spoglie son là
il suo spirito dove vai c’è,
ora è qua
e dove noi saremo
dopo sarà .

27 marzo2009, a Flavio Ragno

 


 

(l’esistere come il navigare…
metafora banale,
come all’acqua della pasta
l’aggiunta del sale)


Alte spumeggianti onde
spesso travolgono il nostro io
e come flussi d’alta marea
annullano l’istmo
che alla terraferma ci lega.
Ed è tempesta ed è uragano
ed è tutto il resto
e non siamo più noi.

Ma di nuovo è il reflusso
e di piccoli eventi ci consoliamo
in una rinnovata calma
che rende il mare
dolcemente lungo.
Così, sempre rollando
mentre prende forza la brezza
ritorniamo a bordare le vele.

Disincagliati ancora una volta
dalle cose della vita
è davvero un piacere
beccheggiare in questo blu
senza più una nuvola
solo aria ed aquiloni
e pensieri dispersi
in sensazioni di libertà.

 


 

Accompagnata da infreddoliti
alberi ancora invernali
triste è oggi  questa strada asfaltata
il  cui grigio si perde
in quello del cielo. 
Ma  io non ho freddo,
perché come raggi di sole
m’accompagnano occhi chiari
e sto in una calda  solitudine 
contemplando le mie azzurrita’.

 


 

In mancanza
d’ un avvenire certo
meglio condire il presente
con un po’ di passato,
un poco d’impressionismo
dentro un’installazione,
una foto in bianco e nero
in un film di pubblicità progresso,
molti libri dei secoli scorsi
da rileggere e accarezzare
per poi ricoprire
con carta a righine.
Un amore d’un tempo
dentro il grande amore di oggi,
le mani della nonna Esterina
sopra quelle di Federico
e nel sorriso di Simone
qualcosa del nonno.

 


 

C’è sempre qualcosa
che non ho trovato
dimenticato
lasciato chissà.
C’è sempre un qualcosa
che non ho fatto
che avrei potuto
se avessi voluto
se mi fossi ricordata
se non avessi avuto
altro da fare.
C’è sempre un puntino
un tarlo un …ino
qualcosa che non mi fa
star bene come vorrei,
assente e non 
sempre presente
alla vita
anche alle sue piccolezze
e lentezze e schifezze.
Ci sono sempre
io
con il mio ieri
con il mio oggi,
ci sono sempre
gli altri
con il loro ieri
con il loro oggi. 
Già.

 


 

Non calpestare la vita
sta scritto in grande
appena dentro il barcone.
Sinceramente
io non l’ho mai notato,
è scritto in arabo
o in dialetto bergamasco?
Non si capisce,
non è per caso
che c’è scritto non fumare?
Comunque sia
la ragazza era incinta
è scivolata in mare
e non sapeva nuotare,
è affogata, disgraziata,
eppure eravamo d’accordo,
l’abbiamo detto e ripetuto,
a bordo solo nuotatori
ed invece
solo fumatori.
E questi giubbotti?
Non c’entrano
sono antiproiettile.
E chi lo dirà a sua madre
e chi lo dirà al bambino
che quello era della speranza
il viaggio
e che è vietato calpestare le aiuole
nelle città italiane?
E questi giubbotti?

 


 

S‘agitava nel vento
il pensiero di te che soffrivi.
I bei giorni della tua presenza
s’allontanavano sfuocati
e dentro la nebbia
s’intravedevano  appena
gli anni di noi bambini
al mare  d’estate con te.
Ora è la quiete
e vado immaginandoti
sull’argine dell’Oglio
come un Pioppo Bianco
le cui foglie bicolore
giocano a baucettete
con l’aria della sera
mostrando ora un lato
oscuro di morte
ora l’altro chiarissimo
di nuova luce.
Così, mentre muta il tempo
e le nubi vanno e vengono
nel cielo della nostra vita,
ci mettiamo in ascolto
dei molteplici ricordi
scoprendo che i tuoi rami
d’antichi e saldi principi
sono germogliati in noi
che camminiamo
il resto dei nostri giorni
lungo la riva del fiume.

30 aprile 2009, allo zio Bruno Borrini

 


 

Partecipe di molti
ma in solitudine,
la mente attenta
e la penna fra le dita
a ragionare della vita.

Il Brembo gli scorre vicino
aperta la finestra egli ascolta
dalla Montagna l’acqua che narra
d’altre generazioni le opere e i giorni.
Dal fango del mondo
l’anima affiora pura
dei boscaioli, dei pastori,
dei carbonai, dei minatori,
dei raccoglitori di erbe e di fieno,
delle taessine, delle contadine,
delle mogli dei migranti
sole dentro i loro letti
con la propria stanchezza.

Il fiume va, le notti vanno,
lo avvolge il fumo della sigaretta
in una nebbiolina che si fa poesia
mentre cresce la passione
del pensiero che si fa scrittura.

Gli Storici d.o.c. si voltano di là,
ma è per noi gente
in tutt’altre faccende affaccendata,
che egli studia e scrive,
perché è il cuore di chi è stato
che vuol farci comprendere,
di chi prima di noi
ha inchiodato il tempo
con il proprio dolore
e fatto affiorare attimi di eterno
donandosi nell’amore,
in una continuità di respiro
che ci meraviglia e ci fa sperare.

Passo dopo passo
partecipe di molti
ma in solitudine,
la mente attenta
e la penna fra le dita
a ragionare della vita.


04 settembre 2009, per il professor Riceputi

 


 

Ho fatto un giro in bicicletta
nello sguardo d’un ragazzo
mentre gli dicevo ciao.

La sua bocca appariva
come una luna tracciata
sulla pelle del suo viso.

Il mio pedalare s’è arrestato
con una brusca frenata
a due passi dal suo riso.

 


 

In una ferramenta del terzo millennio,
come in un borgo d’altri tempi,
storie di cavalieri di dame e di scudieri, 
profumo di  bottega 
d’artigiani e pittori
ed odore d’olio di lino,
di pece e fumo di stufa.
Sistemate sullo scaffale
bullette color bronzo rinascimentale,
cerniere salice a scomparsa,
anuba barocco.
Nomi che ritornano
oggetti 
che hanno dentro un mondo
e così la parola salice
mi riporta al vetusto tronco
le cui piangenti chiome 
“ombra facean ai cavalli
nello slargo d’un castello”.
E cosa dire dei pennelli a ventaglio,
degli stucchi veneziani,
delle chiavi inglesi:
come non pensare a quel don Juan
ospite di una cortigiana
nel palco d’un teatro del settecento?
E dici niente
delle lame per sega vichinghe
trasportate sul Brembo
da colorati Knorr
per essere vendute 
ad aitanti moderni taglialegna
che nulla hanno da invidiare
agli uomini normanni?

( spazio libero per sorridere)

Potrei continuare,
ma qui m’arresto
che lungo sarebbe
descrivervi il resto.

 


 

Cerco Poesia in ogni luogo
dietro uno scaffale
in fondo al corridoio
sotto la tettoia
dietro la porta e per le scale,
lei riempie le pieghe
delle mie rughe
e si mette fra le dita
dei miei piedi.
E’soltanto Poesia infradito
e non dovrei osare nominarla.
Ma ormai non m’importa,
ho questi sandali
e con essi voglio camminare.
E se scopriranno
fossili di pensiero poetico
in una scatola di viti bronzate
da un alpinista utilizzate
per riparare la sua baita
al passo del Branchino.
e se qualche Centro Culturale
sarà indeciso su cosa fare
svitare, avvitare,
o più semplicemente buttare,
ebbene, faccia come gli pare,
al montanaro insieme al cacciavite
un po’ di poesia
son proprio io
che gliel’ho voluta dare.

 


 

Che si possa continuare
il solito tran tran
dopo aver sentito la notizia
dei bambini rom
andati a fuoco nella loro roulotte,
che si possa battere lo scontrino
ringraziare salutare
parlar del più e del meno,
che si possa vivere lo stesso
come se niente fosse,
che si possa aver potuto
avere il potere  di potere
e perché
non so.
Ma si può.

 


 

Magari iene o tigri o sciacalli
ma dirci umani proprio no.
D’un altro ramo della specie
vorrei i nostri figli
esser foglie
e considerato
l’attuale stato del mondo,
certi primati
li porterei all’estinzione,
troppe terribili mutazioni
nella loro evoluzione.

 


 

Il tempo
corre velocissimo
come la volpe
con la preda in bocca.
Il tempo
è il primo sempre
e si lascia indietro
le grida le risa
i passi incerti sul ghiaccio
e quelli sicuri
per mano a chi ci vuol bene.
Il tempo
non si prende cura
non sa se a soffrire sei tu
o quello appena al di là.
Il tempo
cancella
ma non è così
forse attenua
e lasciamo perdere
che son le solite banalità
frasi fatte e sfatte
superficiali meditazioni
sopra una tazza di latte.

 


 

Voci voci
soci soci
quote quote
figli figli
madri madri
firme firme
gira gira
cala cala
trinchetto trinchetto
netto netto
lordo lordo
finestre e porte
accetta la sorte
prega il santo
aspetta intanto
gli artisti son vicini
gli artisti son lontani
non sono amici miei
e non sono comprensiva
voci voci
soci soci
quote quote
rosa rosa
beato chi ti sposa
è lei la tua morosa
grondaie e facciate
quote avanzate
nei meandri del mio cuore
c’è installato uno scultore
per smussare  tutti gli angoli
lui lavora di scalpello
soffocando tutti i rantoli.

 


Non guardo avanti
non guardo indietro
guardo qui vicino
dove ci sei tu.
La mia mano ti tocca
il mio esistere è per te
che mi conosci
come il mare le sue rive
come il cielo le sue stelle.
Inghiotta pure la notte il dì
io sono qui
non guardo avanti
non guardo indietro
guardo qui accanto
dentro i tuoi occhi
che guardano avanti
che guardano indietro
sempre guardando
dentro di me.

 


 

E’ un dipinto impressionista
la città nera che brilla
punteggiata di cangianti paillettes.
Vibra un colore in ogni luccichio
nel cielo di strisce scure
illuminato qua e là
dall’aranciato del tramonto.

Ti sono di fronte, come altre volte
al Ristorante San Vigilio
e penso,
assaggiando una crème bruleé all’arancia,
“sempre splendido questo luogo”
vicino…lontano…
qui,  la nostra città
là,  gli Appennini
e noi sotto la volta celeste
innamorati in questo secolo 
come molti prima
ed altri che verranno
e percepire potranno,
nell’ incanto del posto,
l’eterna bellezza della vita.

 


 

Vado e vengo in bicicletta
una bici  tipo vecchio
come l’altra
che usava la Ciada
per andare in filanda
e non con la canna
come quella del Nardo
per andare in ferrovia.
Son trascorsi gli anni
tutto pare cambiato
dai tempi dei nonni,
com’è invece tutto uguale
il mio chiudere gli occhi
il mio riaprirli.
E’ questa merce intorno
che fa la differenza,
tonnellate di cose
ed io al loro servizio,
un vita mercificata
manovrata da Denaro
famosissimo puparo.
Mi par davvero poco
come evoluzione della specie
più che seguir
virtute e conoscenza
trattasi qui
di pedalare con pazienza.

 


 

A quest’ora a rincorrersi
giocano le rondini
nel bel cielo di quasi sera.
Al balcone di giugno
s’affaccia l’estate
ha aperto le imposte
si stira, sbadiglia
“è l’ora, è l’ora
che ora, che ora?”
L’ora di mettersi nudi
di fronte a sé stessi
attirare il sole nel mare
raccoglierne i raggi
per farne cesti d’oro
da riempire di bello
dolce, buono, gentile,
fare dipinti di luce,
scrivere canti d’amore
“è ora è ora!
che ora, che ora?”
Le rondini danzano in cielo
chiamano la vita
con la loro gaiezza,
si lanciano in picchiata,
frenano, si alzano,
sterzano, ruotano
ascendono, s’incrociano
scivolano garrendo
in faccia all’estate ridendo.
Poi, ecco,
la sera vien giù
e d’un tratto gli uccelli
non ci sono più.